Il Presidente dellaCorte di Giustizia dell'Unione Europea, con Ordinanza del 25 ottobre ha rigettato la richiesta di sospensionedel bando europeo che vieta la caccia commerciale delle foche e ha annullato quindi la precedente ordinanza del 19agosto scorso con la quale si sospendevatemporaneamente il divieto europeo su istanza presentata da organizzazioni dipopolazioni indigene del Canada e della Groenlandia insieme al Fur Institute ofCanada, Canadian Seal Marketing Group e altre sigle collegate all'industriadella pellicceria.
Il Regolamento UE1007/2009 sul commercio dei prodotti derivati dalle foche, sin dalla suaapprovazione sta subendo forti attacchi da parte dell'industria dellapellicceria interessata allo sfruttamento delle foche cacciate in Canada eGroenlandia. Nonostante il bando fosse efficace a partire dal 20 agosto 2010,già dai primi mesi dell'anno organizzazioni commerciali di questi Paesi hannoavviato un procedimento per chiederne l'annullamento e, in attesa della sentenzadella Corte di Giustizia, anche la temporanea sospensione.
Lo scorso 19 agosto,alla vigilia dell'entrata in vigore del Reg. UE 1007//09, il Presidente della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, accolse la richiesta di sospensione masi trattò solo di un atto dovuto, dato che la Commissione Europea adottò lemisure attuative del regolamento solo pochi giorni prima e quindi la Corteaveva bisogno di valutare le argomentazioni dei ricorrenti per potere deciderenel merito.
Sulla base delledocumentazione prodotta dai due schieramenti - da una parteil Parlamento Europeo e la Commissione (coadiuvati dai legali delle principalicoalizioni internazionali di protezione degli animali quali Eurogroup forAnimals e FFA-Fur Free Alliance, di cui la LAV è componente, e dall'IFAW -International Fund for Animal Welfare) e, dall'altra parte, organizzazioni dipopolazioni indigene del Canada e della Groenlandia insieme al Fur Institute ofCanada, Canadian Seal Marketing Group e altre sigle collegate all'industria dellapellicceria - la Corte di Giustizia ha rilevato che, sulla base dellagiurisprudenza comunitaria, i ricorrenti non hanno presentato adeguateevidenze attestanti che la mancata sospensione del bando possa provocare gravi,personali e irreparabili conseguenze; hanno presentato solo mereosservazioni su interessi economici, culturali, sociali di caratteregenerale che solo soggetti di diritto pubblico possono avanzare, mentre iricorrenti rappresentano categorie riconducibili a persone fisiche, società commercialie associazioni di categoria.
Pur ribadendo che ilReg.1007/2009 prevede già una specifica deroga per garantire la sussistenzadelle popolazioni indigene per le quali la caccia alle foche sta alla basedelle proprie tradizioni, dalle argomentazioni che motivano l'Ordinanza delPresidente della Corte di Giustizia UE, emerge altresì che nel 2006 gli Inuitdel Canada hanno cacciato solo un decimo del totale delle foche che sonostate abbattute (ossia 30.000 animali su oltre 300.000 cacciati) e che, diqueste, solo un quinto (circa 6.000 foche) furono esportate e nonesclusivamente nell'Unione Europea. Considerato inoltre che, come dichiaratodai ricorrenti, gli Inuit cacciano le foche prevalentemente per il consumodelle loro carni e che le pellicce sono vendute per coprire i costi dellacaccia, non si comprende come le disposizioni del bando europeo possanodanneggiare tali popolazioni che, nell'ambito di un opportuno sistema ditracciabilità come previsto dalla Commissione UE (Reg.737/10) potranno continuaread immetterle nel mercato europeo.
"Da quanto emerso inquesta ulteriore tappa del procedimento avviato contro il bando europeo- ha dichiarato Simone Pavesi, responsabile nazionale LAV settore pellicce - pareevidente che dietro la caccia alle foche si nascondano gli spregiudicatiinteressi di chi ha trasformato il mezzo di sostentamento di una popolazione inun business internazionale".
"Se è vero che lepopolazioni Inuit cacciano le foche da millenni- ha proseguito Pavesi - è altrettanto vero che nel corso dei secoli non èmai esistito un mercato dei prodotti di foca e ciononostante queste popolazionisono sopravvissute. E' solo ora che sono in balia dell'industria dellapellicceria e del settore di trasformazione dei prodotti di foca, che queste popolazioniaccusano difficoltà economiche e sociali. Auspichiamo che la Corte di Giustiziapossa presto giungere alla conclusione del procedimento, in modo da togliereogni dubbio circa l'applicabilità del provvedimento che, va ricordato, ad oggiè a tutti gli effetti vigente. Per questo chiediamo che siano attivate leopportune procedure di controllo sulle merci immesse nel mercato europeo enazionale".
Fonte: Ufficio Legale LAV
Il Regolamento UE1007/2009 sul commercio dei prodotti derivati dalle foche, sin dalla suaapprovazione sta subendo forti attacchi da parte dell'industria dellapellicceria interessata allo sfruttamento delle foche cacciate in Canada eGroenlandia. Nonostante il bando fosse efficace a partire dal 20 agosto 2010,già dai primi mesi dell'anno organizzazioni commerciali di questi Paesi hannoavviato un procedimento per chiederne l'annullamento e, in attesa della sentenzadella Corte di Giustizia, anche la temporanea sospensione.
Lo scorso 19 agosto,alla vigilia dell'entrata in vigore del Reg. UE 1007//09, il Presidente della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, accolse la richiesta di sospensione masi trattò solo di un atto dovuto, dato che la Commissione Europea adottò lemisure attuative del regolamento solo pochi giorni prima e quindi la Corteaveva bisogno di valutare le argomentazioni dei ricorrenti per potere deciderenel merito.
Sulla base delledocumentazione prodotta dai due schieramenti - da una parteil Parlamento Europeo e la Commissione (coadiuvati dai legali delle principalicoalizioni internazionali di protezione degli animali quali Eurogroup forAnimals e FFA-Fur Free Alliance, di cui la LAV è componente, e dall'IFAW -International Fund for Animal Welfare) e, dall'altra parte, organizzazioni dipopolazioni indigene del Canada e della Groenlandia insieme al Fur Institute ofCanada, Canadian Seal Marketing Group e altre sigle collegate all'industria dellapellicceria - la Corte di Giustizia ha rilevato che, sulla base dellagiurisprudenza comunitaria, i ricorrenti non hanno presentato adeguateevidenze attestanti che la mancata sospensione del bando possa provocare gravi,personali e irreparabili conseguenze; hanno presentato solo mereosservazioni su interessi economici, culturali, sociali di caratteregenerale che solo soggetti di diritto pubblico possono avanzare, mentre iricorrenti rappresentano categorie riconducibili a persone fisiche, società commercialie associazioni di categoria.
Pur ribadendo che ilReg.1007/2009 prevede già una specifica deroga per garantire la sussistenzadelle popolazioni indigene per le quali la caccia alle foche sta alla basedelle proprie tradizioni, dalle argomentazioni che motivano l'Ordinanza delPresidente della Corte di Giustizia UE, emerge altresì che nel 2006 gli Inuitdel Canada hanno cacciato solo un decimo del totale delle foche che sonostate abbattute (ossia 30.000 animali su oltre 300.000 cacciati) e che, diqueste, solo un quinto (circa 6.000 foche) furono esportate e nonesclusivamente nell'Unione Europea. Considerato inoltre che, come dichiaratodai ricorrenti, gli Inuit cacciano le foche prevalentemente per il consumodelle loro carni e che le pellicce sono vendute per coprire i costi dellacaccia, non si comprende come le disposizioni del bando europeo possanodanneggiare tali popolazioni che, nell'ambito di un opportuno sistema ditracciabilità come previsto dalla Commissione UE (Reg.737/10) potranno continuaread immetterle nel mercato europeo.
"Da quanto emerso inquesta ulteriore tappa del procedimento avviato contro il bando europeo- ha dichiarato Simone Pavesi, responsabile nazionale LAV settore pellicce - pareevidente che dietro la caccia alle foche si nascondano gli spregiudicatiinteressi di chi ha trasformato il mezzo di sostentamento di una popolazione inun business internazionale".
"Se è vero che lepopolazioni Inuit cacciano le foche da millenni- ha proseguito Pavesi - è altrettanto vero che nel corso dei secoli non èmai esistito un mercato dei prodotti di foca e ciononostante queste popolazionisono sopravvissute. E' solo ora che sono in balia dell'industria dellapellicceria e del settore di trasformazione dei prodotti di foca, che queste popolazioniaccusano difficoltà economiche e sociali. Auspichiamo che la Corte di Giustiziapossa presto giungere alla conclusione del procedimento, in modo da togliereogni dubbio circa l'applicabilità del provvedimento che, va ricordato, ad oggiè a tutti gli effetti vigente. Per questo chiediamo che siano attivate leopportune procedure di controllo sulle merci immesse nel mercato europeo enazionale".
Fonte: Ufficio Legale LAV
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