venerdì 1 aprile 2011

I segreti della bistecca clonata

In occasione della revisione del “Regolamento 258/97 sui nuovi prodotti e ingredienti alimentari" (Novel Foods) e del dibattito sugli alimenti derivanti da animali clonati o loro discendenti, la proposta del Parlamento di un'etichettatura obbligatoria per tali alimenti è stata respinta dal Consiglio dei Ministri. Rimane dunque intatta quella che il Commissario alla Salute John Dalli ha definito, con allarme, una condizione di "completa assenza di controllo".

Sarà, infatti, ancora possibile immettere sul mercato, senza previa autorizzazione, né etichettatura di riconoscimento, prodotti alimentari derivati dai discendenti degli animali clonati (ne’ ci conforta sapere che la commercializzazione dei prodotti derivati da cloni "di prima generazione" richiederà invece espressa autorizzazione ... tale autorizzazione non sarà mai richiesta: l'animale clonato ha un costo troppo elevato per essere destinato al macello).

L'ostilità della grandissima maggioranza dell'opinione pubblica alla riproduzione clonata degli animali, basata su ragioni scientifiche, ambientali, etiche e giuridiche, si evidenzia in alcuni dati significativi: 1997: in Italia il Ministro della Sanità Rosy Bindi vieta la clonazione animale; 2001: gli USA adottano una moratoria volontaria sull’immissione in commercio dei prodotti derivati da animali clonati nonostante le forti pressioni dell’industria biotech;2007: in USA, un sondaggio Gallup effettuato in occasione del "Cloned Food Labeling Act", dimostra che il 65% dei cittadini è contrario alla clonazione animale e all'acquisto dei prodotti da essa derivati; 3/9/08: il Parlamento Europeo adotta una risoluzione contro la clonazione animale a scopo alimentare; 2009: la Commissione Europea propone una moratoria quinquennale sulla clonazione animale a scopo alimentare; 07/07/10: il Parlamento Europeo vota a maggioranza schiacciante contro la clonazione animale a scopo alimentare.

Il dissenso si basa su numerose e assai valide ragioni. Ecco riassunti i punti principali:

· I danni che derivano da una visione riduzionista, o meccanicistica, della materia vivente, in virtù della quale gli animali sono assimilati a prodotti industriali (vedi il caso dei polli alla diossina o della mucca pazza).

· Il rischio di danni ancora più diretti derivante dal consumo di animali “difettosi” sin dalla nascita. Pochi ricordano, a questo proposito, che lo stesso lan Wilmut del “Roslin Institute”, "padre" della pecora Dolly, ha dichiarato: "Abbiamo prove che la clonazione produce difetti: artrite e invecchiamento precoce, nel caso di Dolly. Essa è un procedimento ancora imperfetto. Dobbiamo procedere in modo cauto", (vedi la Repubblica del 29/04/02, articolo “L'allarme del padre di Dolly: i cloni hanno difetti genetici"). Gli scienziati del “Roslin Institute” scoprono nel 2002 che sia Dolly che le altre pecore clonate nascono con alterazioni cromosomiche che le rendono geneticamente difettose sin dalla nascita. Wilmut, prosegue l'articolo (di Riccardo Trizio), ritiene che l'invecchiamento precoce non sia l'unico difetto prodotto dalla clonazione: vi è gigantismo nelle mucche, ingrassamento abnorme e aumento della placenta di quattro volte nei gatti, difetti del sistema immunitario e cardiaci in altri mammiferi. Wilmut chiede con insistenza maggiore trasparenza ai ricercatori, che a suo parere sono in possesso di segreti non rivelati sui difetti genetici degli animali.

· Il gravissimo problema etico causato dal mancato rispetto degli altri essere viventi. La clonazione reca un'enorme, non quantificata, sofferenza agli animali, siano essi la pecora Dolly, affetta da artrite e invecchiamento precoce, siano essi i "prodotti di scarto” di una tecnologia del tutto imperfetta che fallisce in oltre il 95% dei casi.

· I danni che derivano alla biodiversità animale e, di riflesso, alla nostra sicurezza alimentare, poiché l’industrializzazione della produzione porterà a una riduzione delle varietà animali. Ma vi è un’ulteriore considerazione di cui poche persone sono oggi consapevoli: il danno politico, sociale ed economico portato all'umanità da un altro passo verso la privatizzazione del nostro bene comune più importante: la materia vivente del pianeta. Dietro alla clonazione animale, riproposta di frequente negli ultimi decenni, vi è il progetto delle industrie biotech: accrescere ancora più il controllo sulla produzione alimentare mondiale, estendendolo anche alla zootecnia. La riproduzione clonata è necessaria per ottenere nell'animale ciò che nelle piante avviene perlopiù spontaneamente: la conservazione, da una generazione all'altra, di una modifica genetica introdotta. Questa modifica ha permesso, fino ad oggi, mediante il brevetto la proprietà esclusiva della pianta e la riscossione dei diritti di brevetto a ogni ciclo riproduttivo. L'animale clonato sarà, ne siamo più che certi, un animale modificato per produrre di più (carne, latte, lana o altro ...). Il controllo sulla produzione alimentare da parte delle aziende biotech è in continuo aumento e, al momento attuale, tenta di estendersi anche ai "prodotti non geneticamente modificati".

L'Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) ha iniziato il rilascio di brevetti anche su piante e animali riprodotti con metodi convenzionali, pur essendo tuttora in corso una vertenza su tali brevetti presso l’Alta Corte d’Appello dell’EPO (vedi comunicato EQUIVITA 09/03/11, http://www.equivita.it/).

Per il Comitato EQUIVITA è d’obbligo infine denunciare un altro progetto ambito da alcuni scienziati e implicitamente promosso attraverso la clonazione animale. E’ il business più grande di tutti i tempi: la clonazione umana (con la produzione di “designer babies”, o bambini su ordinazione). Vi è perfino chi, già nel 1998, non vedeva “nulla di male” nella produzione di umanoidi anencefalici, prodotti con cloni di embrioni umani, quale deposito di organi per trapianto (Time Magazine, 18 gennaio 1998, articolo sul Prof. Lee Silver di Princeton).

Fonte: Comitato Scientifico EQUIVITA

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