La Corte d’Appello di L’Aquila ha confermato la sentenza di primo grado a carico del Direttore del Servizio Veterinario di Sanità Animale della ASL di L’Aquila, e di un veterinario del Servizio Veterinario di Sanità Animale della medesima ASL, condannati a due mesi e dieci giorni di reclusione per l’uccisione di nove cuccioli di cani randagi avvenuta nell’ottobre 2004.
La Corte ha ribadito l’applicazione dell’articolo 544 bis del Codice penale “uccisione per crudeltà o senza necessità” e dell’articolo 110 del Codice penale “concorso in più azioni esecutive di uno stesso disegno criminoso”, già avvenuta con la sentenza del 2007.
Il 26 ottobre del 2004 il Direttore aveva ordinato la soppressione dei nove cagnolini, poi materialmente eseguita dal coimputato mediante iniezione di Tanax. Gli animali erano stati trovati nel giardino di un uomo, che aveva chiesto l’intervento della ASL per portarli in canile e (ironia della sorte) salvarli. Il Dirigente della ASL, invece, decise di procedere alla soppressione, asserendo presunti motivi di “ordine pubblico” ritenuti inesistenti già in primo grado.
In sede d’udienza gli imputati hanno sostenuto di aver agito legittimamente poiché il proprietario del terreno in cui furono trovati i cuccioli avrebbe dichiarato che gli animali erano di sua proprietà e ne avrebbe quindi chiesto la soppressione: “a parte il fatto che al dibattimento di primo grado cui partecipavo personalmente –dichiara Gian Luca Scagliotti responsabile Ufficio Legale Lega Nazionale per la Difesa del Cane- la circostanza non è stata confermata importante è il principio che è stato confermato dalla Corte d’Appello: il detentore di un animale non ne ouò disporre più come una cosa ma ha precisi obblighi e doveri che investono anche il medico veterinario il cui dovere è curare gli animali e non sopprimerli, se non per certificata incurabilità o comprovata pericolosità come previsto fin dalla L. 281 del 91.”
La Lega Nazionale per la Difesa del Cane chiede che il procedimento disciplinare -sicuramente già in corso- si concluda con la radiazione dei due veterinari dalla professione stante l’evidenza della violazione del Codice Deontologico della professione secondo il quale l’iscritto deve operare “alla promozione del rispetto degli animali ed al loro benessere in quanto esseri senzienti”. Il comportamento dei due veterinari aquilani ha sicuramente violato questa regola base, precondizione etica per l’appartenenza ad una categoria professionale che saprà reagire con forza ed onestà.
La Lega Nazionale per la Difesa del Cane, costituitasi parte civile, ringrazia infine l’avvocato Michele Pezone, del Foro di Pescara, per l’assistenza fornita durante il secondo grado di giudizio.
La Corte ha ribadito l’applicazione dell’articolo 544 bis del Codice penale “uccisione per crudeltà o senza necessità” e dell’articolo 110 del Codice penale “concorso in più azioni esecutive di uno stesso disegno criminoso”, già avvenuta con la sentenza del 2007.
Il 26 ottobre del 2004 il Direttore aveva ordinato la soppressione dei nove cagnolini, poi materialmente eseguita dal coimputato mediante iniezione di Tanax. Gli animali erano stati trovati nel giardino di un uomo, che aveva chiesto l’intervento della ASL per portarli in canile e (ironia della sorte) salvarli. Il Dirigente della ASL, invece, decise di procedere alla soppressione, asserendo presunti motivi di “ordine pubblico” ritenuti inesistenti già in primo grado.
In sede d’udienza gli imputati hanno sostenuto di aver agito legittimamente poiché il proprietario del terreno in cui furono trovati i cuccioli avrebbe dichiarato che gli animali erano di sua proprietà e ne avrebbe quindi chiesto la soppressione: “a parte il fatto che al dibattimento di primo grado cui partecipavo personalmente –dichiara Gian Luca Scagliotti responsabile Ufficio Legale Lega Nazionale per la Difesa del Cane- la circostanza non è stata confermata importante è il principio che è stato confermato dalla Corte d’Appello: il detentore di un animale non ne ouò disporre più come una cosa ma ha precisi obblighi e doveri che investono anche il medico veterinario il cui dovere è curare gli animali e non sopprimerli, se non per certificata incurabilità o comprovata pericolosità come previsto fin dalla L. 281 del 91.”
La Lega Nazionale per la Difesa del Cane chiede che il procedimento disciplinare -sicuramente già in corso- si concluda con la radiazione dei due veterinari dalla professione stante l’evidenza della violazione del Codice Deontologico della professione secondo il quale l’iscritto deve operare “alla promozione del rispetto degli animali ed al loro benessere in quanto esseri senzienti”. Il comportamento dei due veterinari aquilani ha sicuramente violato questa regola base, precondizione etica per l’appartenenza ad una categoria professionale che saprà reagire con forza ed onestà.
La Lega Nazionale per la Difesa del Cane, costituitasi parte civile, ringrazia infine l’avvocato Michele Pezone, del Foro di Pescara, per l’assistenza fornita durante il secondo grado di giudizio.
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