Il dibattito sulla questione
ambientale è un tema sempre più attuale che ha come nodo centrale il rapporto
tra economia e ambiente, nell'evidente necessità di preservare la qualità del
patrimonio naturale e nella consapevolezza che, essendo le risorse del pianeta
tendenzialmente esauribili, devono essere rivisti ed equilibrati i modelli di
sviluppo. Di questo ed altro si è parlato in un importante convegno, che si è tenuto a Torino il 30 settembre, in cui è intervenuto, tra gli altri, Michele
Pezone, avvocato esperto in diritto dell’ambiente, tra i fondatori del Centro
di Educazione Ambientale Buendìa e consulente a livello nazionale di varie
associazioni, tra cui forPlanet, una Onlus che sviluppa progetti concreti per
sostenere progetti di conservazione ambientale nel mondo.
Il convegno è stato organizzato dalla
Fondazione dell’Avvocatura Torinese Fulvio Croce e ha previsto un confronto tra la
nostra legislazione e quella di alcuni Paesi emergenti, tra cui Cina e Brasile,
per individuare nuovi spunti di attuazione di politiche ambientali. Pezone si è
occupato, infatti, proprio della comparazione tra il diritto ambientale europeo
e quello brasiliano, presentando il suo lavoro in diverse università
brasiliane.
«In occasione di uno di questi
convegni», racconta Pezone, «ho conosciuto il professore Gerson Arrais, su
richiesta del quale ho scritto la prefazione al “Dizionario Inglese-Portoghese
dei termini di Diritto Internazionale”, il primo dell’America Latina, che sarà
pubblicato il prossimo novembre». Un'esperienza che ha consentito all'avvocato
francavillese di constatare come in molti Stati sudamericani «i principi
ambientali siano espressi in modo più dettagliato e siano maggiormente collegati
al concetto dello “sviluppo sostenibile”, in quanto quest’ultimo è insito nella
tradizione storica di questi Paesi, caratterizzati da una visione “sacrale”
della Terra e da un approccio di tipo “sociale” ai beni comuni».
«Ovviamente», spiega Pezone, «questi
principi devono poi fare i conti con altri problemi interni, come la
corruzione, e con le esigenze economiche e industriali dei Paesi in via di
sviluppo, ma tali esigenze possono essere anche un’occasione di proficua
cooperazione internazionale».
Anche l'Abruzzo sta vivendo un
delicato rapporto tra sviluppo economico e tutela ambientale che spesso non
trovano coincidenza. «Ormai è diventato quasi un luogo comune dire che siamo la
regione verde d’Europa», dichiara l'avvocato, «ma allo stesso tempo siamo
costretti continuamente a non abbassare la guardia su alcune questioni, come le
valutazioni ambientali riguardanti gli impianti a biomasse, la Forest Oil a
Bomba, Ombrina Mare, progetto che può essere scongiurato definitivamente
dall’istituzione del Parco della Costa Teatina».
A proposito dei parchi, per
Pezone occorre un piano regionale per rilanciare il sistema abruzzese delle
aree protette anche attraverso l’utilizzo dei fondi europei destinati
all’ambiente e al turismo e va rilanciato anche attraverso un’adeguata
infrastruttura ferroviaria. «Bisogna uscire dall’idea per cui la sostenibilità
ambientale è collegata solo a un sistema di divieti e sanzioni», commenta, «al
contrario, deve essere il criterio con cui riorganizzare tutti i settori
produttivi, dall’agricoltura di qualità all’industria».
E a Francavilla? «Da noi i
problemi sono noti e certamente non addebitabili all’attuale amministrazione»,
sottolinea, «a partire dalla vicenda del porto turistico rimasta ancora
irrisolta, oppure della bonifica dell’Alento e della realizzazione del parco
fluviale, ancora sulla carta, ovvero dell’inquinamento a Fosso San Lorenzo, con
i depuratori non adeguatamente monitorati, come accade nel resto della
Regione». «Ho tuttavia dovuto contestare alcune scelte di quest’amministrazione
che ritengo siano andate nella direzione contraria all’uso sostenibile del
territorio e alla valorizzazione dei beni comuni, e lo dico senza spirito
polemico, che non mi appartiene», prosegue, «Mi riferisco non solo alla
questione dell’abbattimento degli alberi di viale Nettuno, ma anche all’idea,
di cui si è tornati a parlare, di demolire il palazzo Sirena. Quest’ultimo, in
un’ottica “ambientale” di recupero dei centri storici e delle volumetrie
esistenti, va sicuramente ristrutturato e modificato, ma non buttato a terra,
soprattutto se si vuole realizzare un teatro o una struttura polifunzionale,
che necessita di spazi ulteriori oltre alla platea». Per Pezone, sul consumo
del territorio, poi, non bisogna mai abbassare la guardia: «quando si pensa che
si è andati oltre ogni possibile limite, ci si accorge che ci sono ancora degli
spazi appetibili e va valutata attentamente la sostenibilità dei nuovi
progetti».
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