Nel nostro Paese si assassinano ancora cani randagi illecitamente, soprattutto nel Mezzogiorno
Flickr/Siesta!/Di Albe86
In Italia si assassinano ancora illecitamente cani randagi, anche se il fenomeno sembra calare. Una diminuzione che potrebbe essere legata alla riduzione degli abbandoni, e quindi del numero complessivo di animali “vaganti”.
Buona parte vive nel Mezzogiorno, dove le soppressioni non consentite sarebbero più frequenti. Secondo le associazioni contattate, non esistono dati affidabili su quante bestiole vengano freddate ogni anno nel nostro Paese, anche perché non si sa quanti casi restano nascosti. Si parla di norme che potrebbero evitarli, ma non sono applicate. Gli occhi sono puntati anche sui Comuni, che con pochi soldi da spendere rischiano di trascurare la questione sempre di più.
Buona parte vive nel Mezzogiorno, dove le soppressioni non consentite sarebbero più frequenti. Secondo le associazioni contattate, non esistono dati affidabili su quante bestiole vengano freddate ogni anno nel nostro Paese, anche perché non si sa quanti casi restano nascosti. Si parla di norme che potrebbero evitarli, ma non sono applicate. Gli occhi sono puntati anche sui Comuni, che con pochi soldi da spendere rischiano di trascurare la questione sempre di più.
«La legge italiana permette di uccidere un cane solo in casi rarissimi», spiega l’avvocato Michele Pezone, responsabile Diritti animali della Lega nazionale per la difesa del cane. «La soppressione può avvenire in presenza di una patologia incurabile o di pericolosità comprovata, dopo un’osservazione seria di una decina di giorni, che porti a risultati obiettivi». Le cose non vanno sempre così. «Il problema dell’assassinio illegale di randagi c’è», dice Carla Rocchi, presidente dell’Ente nazionale protezione animali (Enpa). «Non è in aumento, anzi: direi che sta diminuendo, ma esistono sacche di crudeltà nel Sud, in zone che di fatto sono fuori dal controllo dello Stato».
Secondo dati sul 2012 forniti dall’Enpa, il Mezzogiorno ospita la maggioranza delle bestiole vaganti: 70mila in Puglia e Campania, 68mila in Sicilia, 65mila in Calabria. Nelle altre regioni le quantità sono molto più basse, fatta eccezione per il Lazio, a quota 60mila. «Negli ultimi tempi le cifre si sono ridotte, perché sono calati gli abbandoni», continua Rocchi. «Parliamo di una diminuzione di circa il 17% rispetto a quattro anni fa. Merito dell’aumento della sensibilità sul tema e della legge che fa rischiare un anno di carcere a chi si libera di un cane in modo illecito».
I casi di uccisione venuti alla luce svelano che i randagi sono assassinati in diversi modi. «Ci arrivano molte segnalazioni di avvelenamento», racconta l’avvocato Pezone. «Le polpette tossiche sono il modo più classico per sbarazzarsi di un animale che magari ha rovinato una coltivazione, o dà fastidio a un allevamento. Poi ci sono casi più brutali, perfino crocefissioni o decapitazioni. Di recente due pastori sardi sono stati denunciati per aver trascinato un cane legandolo a un’auto. Sono stati scoperti perché hanno incrociato i carabinieri». Altrimenti forse nessuno li avrebbe visti, come succede in altri casi. «Da alcuni anni le maggiori associazioni chiedono dati anche alle procure per verificare quanti animali vengono uccisi. Spesso però la cosa non viene denunciata, e quasi mai si arriva a una condanna».
Cosa chiedono le associazioni alle istituzioni? «Semplicemente di applicare la legge», risponde Carla Rocchi. «I Comuni non fanno ciò che devono. Dopo un avvelenamento, per esempio, sarebbero tenuti a recintare il luogo in cui è stata trovata la vittima. Conosco pochissimi sindaci che lo fanno». Michele Pezone conferma il problema: «Ci sono norme praticamente sconosciute a chi è chiamato a metterle in pratica. I municipi che vengono a sapere di un cane assassinato con polpette tossiche devono transennare l’area, bonificarla, chiamare i servizi veterinari per una serie di attività che non vengono mai svolte. Andrebbero istituiti tavoli provinciali per verificare in quali zone si verificano di più episodi simili, ma le regole non sono rispettate».
Tante persone in tutta Italia rispettano e aiutano i randagi, ricorda l’avvocato della Lega per la difesa del cane, ma «temo che le attività illecite aumentino. Molti Comuni investono una parte importante delle loro risorse per alimentare e curare gli animali. In questo momento storico, però, ci sono cittadini incapaci di soddisfare i bisogni primari, che non accettano di veder spendere i municipi per cibare i cani. Ho paura che i casi di intolleranza siano destinati a moltiplicarsi: le statistiche dicono che sono più frequenti nelle zone più povere».
In vista delle elezioni, le associazioni animaliste italiane hanno elencato una serie di proposte, tra cui l’estensione del divieto di uccisione. «Pensiamo sempre», dice Rocchi, «che le violenze più efferate avvengano negli Stati entrati da poco nell’Unione, ma in questo senso il posto peggiore è la Spagna. Parliamo di cani da caccia impiccati alla fine della stagione. Anche la Romania è messa male, e uscendo dalla Ue viene in mente l’Ucraina, con la strage di randagi denunciata prima degli Europei 2012. Per fortuna la realtà italiana non è paragonabile a queste». Per una volta avremmo qualcosa da insegnare ad altri Paesi del continente, almeno per quanto riguarda le leggi. In attesa di vederle completamente applicate.
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