domenica 26 maggio 2019

Jago, il cane conteso e giudicato dal tribunale come una "cosa"


Vagava affamato e senza microchip su una strada trafficata, fu raccolto, portato in canile e adottato da una giovane donna, ma oggi, a distanza di cinque anni, in virtù di una sentenza del Tribunale di Milano che lo equipara a un oggetto, il cagnolino Jago dev'essere restituito a un uomo che si dichiara il suo padrone originario. Pur prendendo atto di tutte le manchevolezze del presunto proprietario di una volta, il quale neppure avrebbe denunciato la scomparsa dell'animale, il giudice fa preciso riferimento agli articoli 927 e seguenti del Codice civile relativi a "smarrimento e ritrovamento delle cose mobili e quindi degli animali", secondo cui si può pretendere la restituzione di un oggetto rinvenuto da altri entro un anno dalla perdita.


"E' un provvedimento che sbalordisce, come si può strappare un cane ormai adulto alla sua vita, agli affetti, per rispedirlo come fosse un pacco in un luogo estraneo e probabilmente poco congeniale?" si chiede MP, l'attuale proprietaria del meticcio di piccola taglia col quale vive in simbiosi dal 2014, in un comune dell'area metropolitana di Milano.

"Siamo ricorsi in appello e abbiamo fatto un'ulteriore istanza per chiedere la sospensione dell'efficacia della sentenza di primo grado" dice Michele Pezone, il legale che l'assiste, esperto in cause legate ai diritti degli animali: "Sembra che qui si ignori la ratificazione del Trattato di Lisbona, dove si stabilisce che gli animali non sono cose ma esseri senzienti e come tali vanno considerati".




Il ritrovamento di Jago risale al ferragosto di quell'anno e si deve alla madre di MP: "Correva lungo la provinciale, smarrito e in pessime condizioni" racconta la donna. "Abbiamo cercato per tutto il paese di scoprire se venisse da una casa, visto che non aveva collare né microchip, quindi l'abbiamo ricoverato in una clinica veterinaria. Di lì, il 18 agosto, seguì il trasferimento al Canile municipale di Milano, con una richiesta di adozione da parte di mia figlia, alla quale è stato regolarmente affidato dieci giorni dopo".


Fra MP e Jago, infatti, è amore a prima vista. Il cane, un simil pincher, riacquista in fretta salute e fiducia. Ma dopo qualche mese appena la felicità viene incrinata da una persona della zona che sostiene di aver riconosciuto nel meticcio l'animale vagante di un agricoltore, e pretende un confronto. "Da principio ci siamo rese disponibili, ma poi le richieste non erano suffragate da alcuna dimostrazione della proprietà. A metà novembre fummo convocate in canile per un improbabile riconoscimento alla presenza del signore che si professava il padrone del cane. Costui, in base alla Legge nazionale 281/91 sul randagismo, avrebbe dovuto reclamarlo entro 60 giorni dall'ingresso nella struttura. Chiedemmo dunque che fosse lui a provare i suoi titoli. Due mesi dopo abbiamo ricevuto una lettera del suo avvocato che chiedeva la restituzione di Jago".



Anche MP, allora, intraprende un'azione giudiziaria, e i due procedimenti vengono assimilati in un unico percorso che include un esame del dna, basato su peli rinvenuti in casa dell'agricoltore. "Su 18 marcatori previsti dal test genetico, il ctu ne ha ricavati solo 15 e uno è stato modificato nella relazione definitiva che abbiamo contestato anche sotto diversi altri aspetti".


"La presenza dei peli non prova che il cane vivesse lì con continuità" sottolinea Pezone "ma soprattutto ci si appella al buon senso. In qualsiasi momento un ufficiale giudiziario può imporre la restituzione del cane a un uomo (ove mai una volta fosse davvero il suo proprietario) assai inadempiente per ammissione della stessa sentenza. E se poi, più in là, il processo d'appello dovesse ribaltare il risultato, Jago tornerebbe da MP? Gli animali non sono oggetti, e in un quadro normativo bisognoso di aggiornamenti la sensibilità del giudice è ancora determinante sul loro destino".


Margherita d'Amico - Repubblica.it

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